Il fatto
Gli Ermellini della Suprema Corte, con la sentenza n. 11364 del 22 maggio 2014, hanno confermato la responsabilità di un medico ginecologo il quale non aveva informato la gestante delle gravi condizioni del feto durante la gravidanza, così impedendole il ricorso all'aborto terapeutico.
L'obiezione di coscienza, manifestata nel corso del giudizio, e mai rivelata ai genitori del piccolo, non vale ad escludere in alcun modo il dolo del sanitario.
Il diritto
La Corte di cassazione, nel caso in questione, afferma l'esclusiva responsabilità del medico nel determinare l'evento lesivo escludendo la condanna sia della clinica sia dell'assicurazione, trattandosi di dolo del sanitario.
Presupposti della colpa medica
In primis si ricorda che l'inquadramento giuridico è diverso della responsabilità del medico da quello della struttura sanitaria.
In ordine al medico, secondo il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, deve evidenziarsi che la responsabilità ha natura contrattuale ed è quella tipica del professionista, con la conseguenza che trovano applicazione il regime proprio di questa tipologia di responsabilità sia in ordine alla ripartizione dell'onere della prova sia in ordine ai principi delle obbligazioni del contratto d'opera intellettuale professionale relativamente alla diligenza e al grado di colpa (cfr. Cass. 22/1/99 n. 589; 11/3/2002 n. 3492; 14/7/2003 n. 11001; 21/7/03 n. 11316 e la recentissima 9/11/2006 n. 23918).
Trattandosi di obbligazioni inerenti l'esercizio di attività professionale la colpa deve valutarsi alla stregua dei criteri indicati dall'art. 1176 c.c. secondo comma con riguardo alla natura dell'attività esercitata.
L'obbligazione del professionista consiste in una obbligazione di mezzi. L'inadempimento (o l'inesatto adempimento) consiste nell'aver tenuto un comportamento non conforme ai canoni contenuti nell'art. 1176 c.c. secondo comma citato, mentre il mancato raggiungimento del risultato cui l'obbligazione di mezzi era indirizzata, produce il danno consequenziale alla non diligente prestazione o alla colpevole omissione.
L’onere della prova
In ordine alla ripartizione dell'onere della prova assumendo come punto di partenza la pronuncia della Corte di Cassazione n. 13533 del 2001, spetta alla parte attrice allegare l'inadempimento, mentre il sanitario deve fornire la prova dell'esatto adempimento.
Il principio applicato si fonda sul riconoscimento che per il creditore ed in particolare nelle responsabilità professionali, fondate su uno squilibrio conoscitivo e informativo che determina l'esigenza della prestazione d'opera intellettuale, della maggiore facilità di accedere alle fonti di prova (principio della vicinanza della prova).
Per quanto attiene la struttura sanitaria
In ordine alla struttura sanitaria la tipologia di responsabilità e i criteri su cui si fonda l'onere della prova sono analoghi.
La fonte contrattuale è indiscutibile: si tratta di un atipico contratto a prestazioni corrispettive che si instaura tra paziente e casa di cura privata ed è produttivo di effetti "protettivi" della salute del paziente stesso che si pongono sullo stesso piano, in ordine di rilevanza dell'adempimento, con le prestazioni di natura alberghiera, di natura infermieristica e di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico, dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie anche in vista di complicanze od emergenze, dell'adozione di protocolli (anche di dimissione) coerenti con la miglior scienza medica.
La casa di cura risponde pertanto sia ex art. 1218 c.c. per l'inadempimento delle prestazioni poste direttamente a suo carico, sia ex art. 1228 c.c., in via indiretta per le prestazioni strettamente medico chirurgiche eseguite da professionista non legato da rapporto di lavoro dipendente, in virtù del collegamento tra tale prestazione e l'organizzazione aziendale, nel caso di specie accentuata dall'appartenenza della struttura sanitaria al circuito del Servizio Sanitario Nazionale.
Il danno
La sentenza sopra citata si conforma ai principi già contenuti nella precedente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 13 del 2010, nella quale si era già affrontato un caso paradigmatico di omessa diagnosi di malformazioni del feto.
Sul risarcimento del danno e sulla quantificazione dello stesso si era osservato che "... omissis... la nascita indesiderata, invero, determina una radicale trasformazione delle prospettive di vita dei genitori, i quali si trovavano esposti a dover misurare (non i propri specifici “valori costituzionalmente protetti”, ma) la propria vita quotidiana, l’esistenza concreta, con le prevalenti esigenze della figlia, con tutti gli ovvi sacrifici che ne conseguono: le conseguenze [...] della lesione del diritto di autodeterminazione nella scelta procreativa, allora finiscono per consistere proprio nei "rovesciamenti forzati dell'agenda" di cui parte della dottrina discorre nel prospettare la definizione del danno esistenziale... omissis...".
Tutti elementi che devono essere valutati dal giudice di merito per la quantificazione del danno nel caso di un minore che riporti gravi handicap ed è costretto ad una vita difficoltosa, impegnativa oltremodo per i genitori e certamente «lesiva in misura gravissima della salute e della stessa dignità della persona e con conseguenze patrimoniali disastrose per sé e per gli sventurati genitori».