Chi ha diritto di vivere e chi no!

         La Convenzione di Amburgo prevede che, qualora dei migranti in navigazione si trovino in stato di pericolo, il Paese responsabile della relativa zona SAR abbia il dovere di condurli in un posto sicuro (anche) al fine di permettere loro di presentare domanda di asilo e protezione internazionale.

      I comandanti, durante le operazioni, devono assicurare la garanzia delle persone bisognose di protezione internazionale e quindi hanno l’obbligo di comunicare all’UNHCR le eventuali richieste di asilo avanzate dai sopravvissuti.

        Quando i profughi sono soccorsi da navi battenti bandiera di uno Stato del Consiglio di Europa e/o condotti in un porto di uno Stato del Consiglio d’Europa, troverà applicazione il principio di <<non refoulement>>.

         L’interconnessione delle norme così richiamate vieta espressamente di respingere persone che chiedono di ottenere una forma di protezione internazionale.

Chiudere i porti italiani alle navi delle ONG che li hanno soccorsi, respingerli prima che possano esercitare i loro effettivi diritti, impedisce loro l’attuazione concreta delle norme di tutela.

3. Sul piano strettamente operativo, la Convenzione internazionale Amburgo sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, nota anche semplicemente come SAR, siglata ad nel 1979, prevede che tutti gli Stati con zona costiera sono tenuti ad assicurare un servizio di ricerca e salvataggio (SAR).

L’acronimo SAR corrisponde all’inglese “search and rescue” ovvero “ricerca e salvataggio”.

Con questa sigla si indicano tutte le operazioni che hanno come obiettivo quello di salvare persone in difficoltà.

Tutti gli stati costieri del Mediterraneo sono tenuti, alla luce della Convenzione di Amburgo, a mantenere un servizio di SAR, e le SAR dei vari stati devono coordinarsi tra di loro.

Il Mar Mediterraneo, in particolare, è stato suddiviso tra i Paesi costieri nel corso della Conferenza IMO (International Maritime Organization) di Valencia del 1997 in aree SAR.

L’area di responsabilità italiana rappresenta circa un quinto dell’intero Mediterraneo, ovvero 500 mila km quadrati.

Nella prassi il Centro di Coordinamento regionale SAR maltese non risponde alle imbarcazioni che la contattano né interviene quando interpellato dal Centro di Coordinamento regionale SAR italiana, lasciando all’Italia una responsabilità per il pattugliamento di una zona vastissima.

L’IMRCC di Roma ha il compito di assicurare l’organizzazione efficiente dei servizi di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse italiano sul mare e mantiene i contatti con i centri di coordinamento del soccorso degli altri Stati per assicurare la collaborazione a livello internazionale, prevista dalla Convenzione di Amburgo.

Il coordinamento delle operazioni e l’esplicita richiesta di approdo in un porto italiano appare del tutto in contrasto con il divieto di attracco a navi umanitarie ed anche in conflitto con le norme del diritto internazionale secondo cui le persone soccorse in mare devono essere trasportate nel porto sicuro più vicino alla zona del salvataggio.

Non passi inosservato che gli immigrati soccorsi dall’Aquarius erano in una situazione di potenziale o effettiva perdita della propria vita, e lo sarebbero stati ancor di più ove fossero stati respinti verso la Libia.

8 giorni di dura navigazione per il maltempo (gli uomini hanno pure dormito in coperta) per persone stremate da quanto avevano subito in Libia, imponeva all’Italia di dare loro il <<miglior soccorso possibile>> e non certo prolungare le loro sofferenze.

Ciò solo perché sono Clandestini, cioè esseri umani senza documenti che per spostarsi devono rischiare la propria vita.

Oggi, da un documento dipende se vivere o meno!

                                             Avv. Francesco Billetta  Vice Presidente di ADDUMA

 

Commenti (1) -

zortilonrel
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